Attila József, sette poesie, testo originale
Tomaso Kemeny, traduzione a fronte
Sette dipinti di pittori ungheresi della prima metà
del XX secolo
Formato 14 x 18 cm
Pagine 40
Illustrazioni 7 tavole a colori applicate sulla pagina
Isbn 978-88-901811-9-1
Disponibilità sì
Prezzo internet €10,00 + spese postali
Prezzo edizione digitale € 2,00
La poesia di Attila József ebbe tante interpretazioni – di destra e di sinistra, fu commentata in chiave politica ed in chiave freudiana – ma tutti i suoi commentatori sono unanimi nel riconoscere di trovarsi di fronte a una delle più magistrali e articolate produzioni della letteratura novecentesca. Questa scelta di poesie contiene sette composizioni scritte tra il 1921 ed il 1925, quando József aveva tra i sedici e i vent’anni. I versi, che leggiamo nella bellissima mediazione del poeta italo-ungherese Tomaso Kemeny, sono opere composte ancora sotto l’influenza evidente di grandi maestri ma già lasciano intuire le caratteristiche più specifiche della poesia di József: la pietà per i poveri e i sofferenti, l’immenso bisogno di essere amato dagli altri, la bravura formale, la ‘morbidezza’ delle immagini.
L’arte pittorica ungherese del primo Novecento si fonda su alcune famose accademie di arti figurative (le scuole di Hollósy, Benczúr e Székely) aperte agli influssi di Weimar e Parigi. I contemporanei di Attila József in parte furono influenzati dall’Espressionismo, in parte svilupparono un Postimpressionismo teso a tematizzare il ritratto e la vita dei contadini magiari della Grande Pianura.
Attila József nacque a Budapest nel 1905, da una famiglia sottoproletaria. Rimasto presto orfano di padre, ebbe la possibilità di studiare grazie all’aiuto del cognato, avvocato benestante, ma venne espulso dall’Università di Szeged a causa della pubblicazione di alcuni versi ritenuti scandalosamente trasgressivi. Nonostante abbia in seguito frequentato le Università di Vienna e della Sorbona, a Parigi, dove prese contatto con le culture dell’avanguardia, non portò a termine gli studi. Precocemente originale, a diciassette anni debuttò con il volume di versi Szépség Koldusa (Mendicante di bellezza, 1922). Si mantenne eseguendo lavori occasionali e con i magri proventi dei suoi libri di poesia. Con titoli quali Nem én kiáltok (Non sono io a gridare, 1924) e Nincsen apám se anyám (Non ho padre né madre, 1929) divenne poeta militante nel movimento operaio clandestino. Nel decennio successivo, dimostrando lucidità straordinaria, con Medvetánc (Ballo dell’orso, 1934) precorse una sensibilità che si sarebbe poi rivelata appieno nell’Esistenzialismo. Espulso dal partito comunista clandestino a causa del radicale anticonformismo, colpito da depressione anche per il succedersi di eventi dolorosi nella sua vita privata, si suicidò gettandosi sotto un treno a Balatonszárszó nel 1937. Nel 1938 i redattori della rivista ‘Szép szó’ (‘La parola bella’) curarono la sua opera completa. Voce lirica tra le più originali del socialismo europeo insieme a Majakovskij, Eluard e Brecht, József fu soprattutto un poeta in grado di coniugare la sensibilità emotiva e passionale del suo popolo con le preziosità formali di una scrittura allo stesso tempo ‘classica’ e sperimentale.
L’arte pittorica ungherese del primo Novecento si fonda su alcune famose accademie di arti figurative (le scuole di Hollósy, Benczúr e Székely) aperte agli influssi di Weimar e Parigi. I contemporanei di Attila József in parte furono influenzati dall’Espressionismo tedesco (si veda il pittore ‘proletario’ Gyula Derkovits) in parte svilupparono un Postimpressionismo teso a tematizzare il ritratto e la vita dei contadini magiari della Grande Pianura.