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Se il tema prescelto per il decollo di questo nostro appuntamento di poesia e arte ha voluto essere la “migrazione”, non poteva non tornare irresistibile l’attrazione per il pascoliano poemetto Italy. La capacità di seduzione di questo celebre poemetto risiede in parte non trascurabile nell’uso della lingua su vari livelli e registri: se il modello metrico è la terzina dantesca, scelta come ideale narrativo in poesia, gli impasti tra italiano letterario, gergo regionale toscano inserti di un inglese elementare appreso da emigranti, l’americano parlato dai lavoratori stranieri, questi impasti dunque sono di un fascino incomparabile e letterariamente profetico.
Gilberto Isella (1943), italiano della Svizzera ossia luganese, è uno degli autori meglio definiti e conosciuti della sua generazione. Il poemetto che ci propone non è di facilissima né immediata comprensione. Intenzionalmente privo di riferimenti naturalistici, lontano da ogni inutile convenienza mimetica, irto di paradossi e di situazioni simboliche, combina in sperimentazioni linguistiche i registri del grottesco, del farsesco, dell’invettiva, della requisitoria intellettuale: incalzante caricatura, avviata per cunicoli bui, in una claustrofobia appunto infernale.
Parte da un classico, un classico antico quanto universale, il poemetto di Enrico Piergallini (1975): si riferisce a una situazione quasi iniziale dell’Eneide di Virgilio, quando il migrante protagonista approda alla città di Didone mentre la cena d’onore sta per essere allietata dalle sottolineature squisite del cantore Iopa. Il poemetto vira bruscamente dall’idillio della seduzione alla allegoria dell’inestirpabile potere dell’uomo sull’uomo, alla miseria spesso servile, alla volgarità e all’ipocrisia, che dominano le relazioni.
Giorgio Luzzi