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Mezzo millennio prima di Cristo, in Grecia, il poeta Pindaro dava vita ai suoi celebri “epinici” (letteralmente: “versi per il vincitore”). Ma già almeno tre secoli prima nasceva ufficialmente al mondo occidentale la pratica dei Giochi Olimpici e, con essa, la consegna della sua memoria a una tradizione di linguaggi epico-lirici.
Se ci inoltriamo nelle ricerche, ci rendiamo conto che tra la estensione sociologica del gradimento pubblico di uno sport e la sua, per così dire, traduzione in versi corre una distanza non da poco: se già la parola in sé è una lastra che copre il reale, la parola poetica lo copre doppiamente, evadendo per propria costituzione e scommessa da entrambe le condizioni e pretendendo letteralmente di generare un mondo del tutto nuovo e mai visto prima.
Giorgio Luzzi